Le mura di pietra e di acqua. Dati preliminari per lo studio delle fortificazioni della Badia di Settimo
Alberto Agresti (ricercatore indipendente), Guido Agresti, Marie Ange Causarano, Lorenzo Crescioli, Lucrezia Cuniglio, Gianfranco Morelli, Ursula Wierer
Il monastero cistercense di San Salvatore a Settimo si presenta ancora oggi come un grande complesso fortificato, munito di due torri lungo il lato occidentale e con tracce di una terza posta a controllo di un ponte lungo il lato nord. A circa trenta metri a sudovest del nucleo centrale del complesso, fino al 1944 si conservava ancora completamente in elevato una quarta torre merlata che segnava l’accesso monumentale da sud alla badia. Le facciate a nord est e a sud est conservano parte di un sistema a sporgere composto da caditoie che, assieme ad un fossato realizzato attorno all’intero edificio, gli conferivano dalla fine del XIV secolo i caratteri di una vera e propria fortezza, per proteggere le persone e i beni al suo interno. Tali apprestamenti dovettero essere fortemente danneggiati agli inizi del XVI secolo a seguito dell’assedio delle truppe di Carlo V, oltre che dalle successive e rovinose alluvioni dell’Arno. Le indagini condotte tra 2020 e 2023 nel cantiere di restauro dell’ex complesso monastico hanno permesso di acquisire dati importanti attraverso metodi diagnostici non invasivi e gli scavi archeologici. Il ponte sul lato nord, assieme ad una piccola porzione del fossato, erano già stati portati alla luce durante i restauri del 2002. Grazie alle più recenti attività è stato possibile documentare a sud l’esistenza di dueponti e le tracce del fossato. Tali dati, uniti alla lettura integrata delle informazioni provenienti dalla diagnostica non invasiva e dalla rilettura della cartografia storica, consentono ad oggi di avanzare nuove ipotesi sul sistema di canali posti a difesa dell’intero complesso monastico, che risulta unico nel suo genere all’interno del panorama toscano.
Badia di S. Salvatore a Settimo a Scandicci (FI). La riscoperta della Sala capitolare del monastero cistercense. Dati preliminari dellericerche (2021-2022)
Alberto Agresti (ricercatore indipendente), Guido Agresti, Marie Ange Causarano, Lorenzo Crescioli, Lucrezia Cuniglio, Anna Floridia, Massimo Gavazzi, Sonia Mugnaini, Giovanni Roncaglia, Ursula Wierer
Il cantiere di restauro della Badia di San Salvatore a Settimo, iniziato nel 2020 dalla Fondazione Opera della Badia di Settimo onlus, rappresenta un’occasione unica per indagare le fasi di vita del complesso monastico dal medioevo ad oggi. I dati sono stati raccolti in modo interdisciplinare attraverso saggi e scavi archeologici, lettura stratigrafica degli elevati, indagini delle superfici murarie e degli intonaci, nonché attraverso lo studio dei materiali rinvenuti. In questa sede vengono presentati i risultati preliminari delle indagini relative alla sala capitolare del convento cistercense, trasformata in cantina a seguito delle soppressioni lorenesi tardo settecentesche. L’abbassamento dell’impiantito ottocentesco ha messo in luce i resti della sistemazione rinascimentale, rimasta in uso fino alla soppressione. La sala capitolare nella sua ultima redazione presentava un pavimento in cotto e un muretto con intonaco dipinto lungo le pareti, identificabile con la seduta dei monaci. Tracce di colore sono state rinvenute anche sull’intonaco parietale conservato. Analisi mineralogico-petrografiche hanno consentito di definire la composizione e le caratteristiche di preparazione degli intonaci e di caratterizzare la microstratigrafia delle finiture pittoriche. Al centro dell’ambiente, al livello del pavimento antico, sono emersi i resti di un sepolcro collettivo non violato, il cui impianto originario risale ad una precedente sistemazione della sala. Il rinvenimento della tomba costituisce un importante parallelismo con altri complessi monastici cistercensi coevi, e risulta ad oggi l’unica indagata integralmente a livello archeologico. Lo scavo ha permesso di recuperare i resti di almeno una ventina di inumati, rinvenuti sia in connessione che in
giacitura secondaria. Nelle macerie ottocentesche che avevano obliterato il sepolcro è stata trovata una testa maschile in terracotta policroma pertinente ad una scultura che doveva decorare uno degli ambienti dell’abbazia.
PROTECT. Un progetto di archeosismologia per la città di Siena
Andrea Arrighetti (École normale supérieure), Marco Repole, Raffaella Leporini
Lo studio archeosismologico dei centri storici collocati in aree sismiche permette una conoscenza più o meno approfondita degli effetti di alcuni specifici terremoti sulle componenti materiali e fornisce dati di assoluto interesse sulle dinamiche sociali, economiche e politiche scaturite a seguito di tali eventi. In questo filone di indagine si inserisce il progetto PROTECT - Knowledge for PReventiOn. Technique for reparing seismic damage from medieval period To modern era, finanziato dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell'Unione Europea con una Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowship, che mira all'applicazione, in via del tutto sperimentale, dei metodi di analisi archeosismologica al centro storico di Siena, in Toscana, in funzione di una approfondita conoscenza del contesto di studio sotto il profilo della prevenzione sismica. Il progetto, a livello metodologico, si basa sull’applicazione e sulla sperimentazione della lettura archeologica degli effetti dei terremoti sull’edilizia storica cittadina seguendo una visione con scale di approfondimento diversificate nello studio delle architetture presenti all’interno delle mura cittadine del contesto senese. L’obiettivo del progetto è quello di creare un protocollo operativo di lettura archeosismologica per un centro cittadino, o per una porzione di quest’ultimo, per poi esportare tale modello anche ad altre realtà italiane ed europee nell’ottica della conoscenza, salvaguardia e tutela del patrimonio storico dal rischio sismico.
L’indagine archeologica di Sant Antonio, Comune di Montaione
Sabrina Bartali (Associazione Archeologica Della Valdelsa Fiorentina), Antonio Alberti, Elena Funghini, Sonia Turi, Alessandro Costantini, Fabio Stratta
L’area di scavo di Sant Antonio è ubicata nel Comune di Montaione, lungo la via Volterrana, le indagini archeologiche si svolgono con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, l’amministrazione comunale, l’Associazione Archeologica della Valdelsa Fiorentina e l’intervento di professionisti del settore. Nel 2012 la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ha deciso di effettuare un’indagine preliminare, al fine di delimitare la superficie da assoggettare a vincolo archeologico con 12 trincee che hanno riportato alla luce porzioni di strutture e una parte di mosaico pavimentale. Da qui la decisione di intraprendere nel 2013 una indagine archeologica con cadenza annuale partendo proprio da quelle trincee che avevano conservato all’interno delle porzioni di pavimento in tessere musive e allargando l’area di ricerca in riferimento a quanto emergeva dalle indagini.
Ad oggi la ricerca ha definito due aree:
- Area 9000 impianto termale in cui sono stati recuperati porzioni del calidarium, tepidarium (con il sistema di riscaldamento diffuso al di sotto della pavimentazione, ipocausto) e del frigidarium. Il calidarium risulta così organizzato in quattro ambienti distinti nominati con le lettere da A a D. Gli ambienti A, C e D sono direttamente collegati con i rispettivi prefurni, mentre l’ambiente A si trova al centro e si raccorda con il tepidarium adiacente sul lato sud.
- Area 10000 - Sulla base delle trincee di ispezione praticate alcuni anni fa, è stato deciso di aprire un saggio nell’area a nord del bosco, dove erano già venute in luce porzioni di struttura. L’area, denominata 10000, ripulita con mezzo meccanico è risultata occupata quasi subito sotto l’attuale strato di humus da uno spesso muro in bozze di pietra, a sacco, con andamento est-ovest, conservato al livello della probabile prima risega di fondazione, il quale verrà indagato approfonditamente con le prossime campagne di scavo.
Ricostruire i Paesaggi costieri: ricerca interdisciplinare a Vada Volaterrana
Domingo Belcari (Università di Pisa - Collaboratore Laboratorio di Topografia antica e Archeologia subacquea)
Questa ricerca si inserisce nel Progetto : “Vada Volaterrana. Il sistema portuale e la sua comunità” e prevede lo studio interdisciplinare dell’evoluzione dei paesaggi costieri dall’età antica ai nostri giorni nell’area compresa fra le foci dei fiumi Fine e Cecina, ove in epoca antica era ubicata Vada Volaterrana, sistema portuale di Volterra, del quale è stato portato in luce un quartiere retroportuale in loc. San Gaetano di Vada (vedi poster P. Sangriso, S. Marini).
Per la ricerca vengono utilizzate tutte le fonti disponibili, geologiche, naturali, archeologiche e documentarie (letterarie, epigrafiche, cartografiche etc.) ed effettuate ricognizioni terrestri e subacquee, prospezioni GPR (a cura di A.Ribolini, UniPi), lettura dei dati Lidar che hanno elaborato un modello altimetrico (Digital Elevation Model) della fascia costiera fra le foci dei fiumi Fine e Cecina ; sono inoltre previsti carotaggi in settori di particolare interesse. I risultati al momento acquisiti hanno permesso di definire paesaggi terrestri e marini complessi e in progressiva evoluzione, con secche, relitti, aree di approdo, specchi d’acqua retrolitoranei e un intenso popolamento in età antica, numerosi ed ampi paduli e stagni in età medievale e moderna, bonifiche strutturali operate dal XVIII al XX secolo alle quali si deve l’assetto attuale del territorio e la formazione dell’agglomerato di Vada, che a partire dalla metà del XIX sec. venne a costituire il centro di riferimento del territorio circostante.
Il Museo Archeologico di Gonfienti
Francesca Bertini (Comune di Campi Bisenzio), Arianna Vernillo
All’interno dell’antica Rocca Strozzi del Comune di Campi Bisenzio si trova il Museo Archeologico di Gonfienti che conserva i reperti provenienti dagli scavi d’emergenza prima e sistematici in seguito del sito antico di Gonfienti, equamente esteso tra le pertinenze dei Comuni di Campi Bisenzio e di Prato, in un territorio stabilmente occupato a partire dal secondo millennio a.C. e fino all’età romana. Il percorso espositivo si articola in tre sezioni, secondo un allestimento tematico e cronologico. La prima sezione è dedicata all’abitato dell’età del Bronzo, che per varietà tipologica e morfologica e quantità di attestazioni materiali rappresenta uno dei più estesi villaggi della Toscana settentrionale, dal XVI al XIII secolo a.C.
La seconda sezione presenta uno dei più significativi ritrovamenti archeologici degli ultimi decenni: in età etrusca arcaica, tra VI e V secolo a.C., sulla riva del Bisenzio viene infatti fondata una nuova città caratterizzata da un progetto urbanistico innovativo di impianto ortogonale, con funzione di controllo sul territorio, sulla viabilità e sugli scambi commerciali. Tra le porzioni indagate fino ad oggi, spicca il recupero di un grande edificio residenziale sul modello della casa ad atrio tuscanico di età arcaica, di pianta rettangolare per una estensione di oltre 1400 metri quadrati. L'allestimento caratterizza e rende unico questo complesso, evocando la sensazione di passeggiare all'interno di un'antica e raffinata dimora. Sotto la porzione di tetto ricostruita, trovano alloggio le diverse tipologie di reperti riemersi dagli scavi, suddivise in spazi che rimandano ai diversi ambiti funzionali e attività domestiche come la dispensa, la cucina, il magazzino, il banchetto, il simposio. Il percorso di visita si conclude con una breve sezione dedicata all'età romana, quando il territorio è interessato da un intenso reticolo viario incentrato sulla importante arteria consolare che è la Cassia Clodia.
Nuovi dati dal quartiere ceramico dell’Abbadia Nuova di Siena tra XVII e XVIII secolo
Stefano Bertoldi (Università degli Studi di Siena)
Il quartiere dell’Abbadia Nuova di Siena, localizzato nell’attuale Contrada del Nicchio è attestato come una delle principali zone di produzione ceramica cittadine dal XIII secolo, insieme a quella del Laterino e San Marco.
Le indagini archeologiche e gli studi di Riccardo Francovich hanno permesso di riconoscere produzioni di acroma grezza e depurata maiolica arcaica, maiolica, ingobbiata e graffita tra XIII e XVI secolo e di contestualizzarle nel sistema economico cittadino, sebbene con l’espansione delle mura cittadine e l’ingresso del quartiere nel circuito murario, tali attività siano andate progressivamente decrescendo nel corso dei secoli, tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna.
Lo scavo archeologico del Vicolo del Sasso (direzione scientifica dott.ssa Maria Gabriella Carpentiero - SABAP-SI), risultante da una sorveglianza per la sostituzione di sotto servizi per conto di Centria srl, ha permesso di riconoscere ed indagare uno scarico di fornace di ceramica ingobbiata, pertinente ad una fornace che operò tra XVII e XVIII secolo. Gli indicatori produttivi (principalmente distanziatori a “zampe di gallo”) mostrano tecniche ancora legate alle tradizioni tardo medievali e gli scarti della produzione (di prima cottura e di ingobbiatura) una qualità tecnica che doveva rispondere ad esigenze di basso livello della popolazione urbana. Oltre ai piatti, mezzane, grandi ciotole e boccali sono presenti coperchi/bracieri, pignatte e tegami invetriati.
Lo scarico di fornace mostra come la produzione urbana, sebbene limitata e osteggiata dalle autorità cittadine, sia proseguita anche in epoca postmedievale, in continuità rispetto ai secoli precedenti, per rispondere alla domanda interna della città e del contado, come confermato da confronti con il contesto poderale dell’abbazia di San Galgano.
Archeologia sociale: esperienze di gestione per uno sviluppo educativo delle comunità
Maddalena Chelini (Museo e Istituto fiorentino di Preistoria, Firenze), Fabio Martini (Museo e Istituto fiorentino di Preistoria, Firenze; Università di Firenze), Chiara De Marco (Università di Siena), Lucia Sarti (Università di Siena)
Gli AA. illustrano attività, allestimenti e buone pratiche che sono stati messi in opera delle Università di Firenze e Siena e dal Museo e Istituto fiorentino di Preistoria, nell’ambito di obiettivi che prevedono oltre alla ricerca e alla valorizzazione del patrimonio preistorico anche la formazione delle giovani generazioni, delle comunità territoriali di riferimento, in un’ottica totalmente inclusiva. Il Museo viene concepito come luogo di interesse e di incontro delle comunità, dove convivono offerte scientifiche, divulgative, formative e ludiche coniugate in vario modo. Sono illustrate alcune attività laboratoriali e sperimentali finalizzate all’accessibilità e all’inclusione, atte a rivolgersi ai diversi pubblici e ad un’utenza ampliata con riferimento alla filosofia della Progettazione universale (Design For All) e alle buone pratiche del Laboratorio ‘Vietato NON toccare”. Le esperienze sono rivolte all’abbattimento delle barriere non solo architettoniche ma anche sensoriali e cognitive, emotive e sociali del visitatore tenendo in considerazione le diverse capacità ed esigenze di ogni individuo. Le pratiche inclusive illustrate sono state sperimentate in contesti comunitari diversificati, dal pubblico museale standard a categorie con difficoltà (disabilità motorie e cognitive, affetti da Alzheimer o autismo) con situazioni problematiche particolari (migranti), anche quando impossibilitati a frequentare il Museo (ospedale pediatrico, carcere). Il tutto mediante una partecipazione diretta degli operatori che sono formati professionalmente, prassi che trasforma l’azione in una prassi “sociale” che enfatizza la mera pratica “pubblica”.
I pozzi di butto del centro storico di Siena: buone pratiche nel recupero e nello studio dei reperti
Jacopo Crezzini (Università di Siena, Dipartimento di Scienze Fisiche della Terra e dell'Ambiente - UR Preistoria e Antropologia), Jacopo Bruttini, Marco Giamello, Debora Caldarelli
Il centro storico di Siena è caratterizzato dalla presenza di numerosi pozzi di butto utilizzati in passato dai senesi per lo smaltimento dei rifiuti domestici. L'individuazione di tali contesti è avvenuta non solo in occasione di sistematiche indagini archeologiche ma, assai più spesso, a seguito di lavori di restauro e/o modificazione d'uso di locali pubblici e privati. Specialmente in questi ultimi casi, la rimozione dei depositi presenti nei pozzi è stata eseguita senza nessuna accortezza stratigrafica, disperdendo e distruggendo la gran parte dei reperti e privando di ogni significatività archeologica quelli ancora reperibili. Ciò costituisce una significativa perdita per la ricostruzione delle attività economiche e sociali delle comunità senesi nel passato considerando l'ampio arco cronologico che spesso questi depositi abbracciano (dal Medioevo fino all'Età Moderna) e l'alto numero e le diverse tipologie di reperti recuperabili al loro interno (es. ceramiche, vetri, monete, ossa animali). In questa sede si intende presentare la comunione di intenti di specialisti provenienti da diversi settori di ricerca volta alla tutela di questi preziosi contesti archeologici e all'attuazione di buone pratiche nelle attività di scavo e nello studio dei depositi ancora conservati. A testimonianza delle importanti informazioni ricavabili da tale applicazione multidisciplinare vengono presentati i primi risultati ottenuti dallo studio di un pozzo di butto presente in un'ala del Palazzo Ugurgieri nel centro storico di Siena.
Interventi di valorizzazione nel Parco Archeologico Naturalistico di Belverde (Cetona, SI)
Maria Teresa Cuda (Museo Civico per la Preistoria del Monte Cetona), Angela Cardini, Claudio Mancianti, Massimo Marini, Nicoletta Volante
Il progetto, articolato in più interventi, si inserisce in un ampio processo di valorizzazione del Parco Archeologico Naturalistico di Belverde e del vasto pianoro del Biancheto, un’area dove si intersecano, in un tutto organico, emergenze geologiche, archeologiche e paesaggistiche. Il Parco si sviluppa fra le pendici del Monte Cetona e il centro storico di Cetona, entrambi rilevanti entità naturalistiche e storico-urbanistiche.
Risale a circa trent’anni fa la possibilità di accedere per la visita al sistema di grotte poste ai piedi del Biancheto, dove già nei primi decenni del Novecento Umberto Calzoni aveva rinvenuto importanti testimonianze archeologiche riferibili a varie fasi della preistoria.
Con parte del materiale portato alla luce da Calzoni ed altro frutto di nuove e più scientifiche campagne di scavo condotte dall’Università di Siena, nel 1990 veniva inaugurato il Museo Civico per la Preistoria del Monte Cetona.
Un forte impulso alla fruizione del comprensorio di Belverde è stato dato, tra la fine degli anni ’90 del secolo scorso e il primo decennio dell’attuale, con la realizzazione del Centro servizi del Parco e, successivamente, dell’Archeodromo, un’area in cui sono state ricostruite, a grandezza naturale, abitazioni dell’Età del Bronzo e un accampamento paleolitico in grotta.
Gli interventi oggetto della presentazione hanno la finalità di potenziare la fruizione complessiva del sito attraverso la creazione, nel Parco, di una serie di sentieri accessibili ai disabili e di migliorare la visita all’interno della Grotta Lattaia con la realizzazione di un percorso in sicurezza e con un’adeguata illuminazione che consentiranno di accedere ad alcune sezioni della cavità attualmente non fruibili se non con qualche difficoltà.
Il progetto, curato dall’Unione dei Comuni Valdichiana Senese, è stato cofinanziato dalla Regione Toscana – Fondo regionale per la montagna.
Cosa: dallo scavo alla realtà virtuale
Andrea De Giorgi (Florida State University), Allison E. Smith, Matthew Brennan
Dal 2013 Cosa Excavations esplora, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Siena e la Direzione dei Musei della Toscana, l'insediamento coloniale sul promontorio di Ansedonia (GR). Tramite la sua più recente applicazione “Digital Cosa” il progetto propone una sintesi di legacy data, dati di scavo, e realtà virtuale che permette di avanzare la discussione del continuum culturale dell'area.
“ABC-Archeologia Bene Comune”: una rete di musei toscani per la valorizzazione della Preistoria
Chiara De Marco (Università degli Studi di Siena-DSSBC), Maria Teresa Cuda, Fabio Martini, Giovanna Pizziolo, Lucia Sarti, Nicoletta Volante
Il progetto “Archeologia Bene Comune (ABC)” è stato il tema di un assegno di ricerca biennale del Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Siena, istituito sui bandi della Regione Toscana 2019-20 (fondi regionali FSE). Il progetto, incentrato sulla valorizzazione dell’archeologia preistorica toscana, ha visto la partecipazione del Museo Civico per la Preistoria del Monte Cetona, del Museo ed Istituto Fiorentino di Preistoria “Paolo Graziosi”, con la collaborazione del MuseoLAB di Grosseto e delle Collezioni di Archeologia d’Arte – sezione preistorica del Sistema Museale dell’Università di Siena (SIMUS) come patrimonio del Dipartimento SSBC dell’Università di Siena.
L’iniziativa ha avuto come obiettivo l’istituzione di una rete di unità museali decentralizzate, a tematismi analoghi, come la Preistoria e il rapporto uomo/ambiente, con attenzione particolare alla valorizzazione del patrimonio locale. La dislocazione degli Enti in aree ricche di evidenze ha permesso di lavorare su un ampio arco cronologico e sulla varietà culturale offerta dal patrimonio preistorico di tutta la Toscana. Il progetto è stato avviato a seguito dell’esperienza di didattica museale e di pratiche di Museologia accessibile, integrate dall’attività di ricerca e dal progetto “Vietato NON Toccare” dell’Università di Siena e condivisi dagli Enti partecipanti. La rete di unità museali è stata chiamata a ideare, organizzare e attuare eventi culturali ed espositivi e attività formative, in un’ottica di comunicazione e di gestione condivise.
Antichi tracciati tra Firenze e Arezzo: testimonianze archeologiche presso lo Spedale del Bigallo (Bagno a Ripoli, FI)
Cristina Ducci (archeologa libera professionista)
L’argomento oggetto del presente intervento è costituito dal rinvenimento di un’antica strada nel territorio di Bagno a Ripoli (FI), a seguito della posa della nuova rete idrica comunale. L’area in questione è caratterizzata da numerose testimonianze archeologiche, sia di età classica che medievale, che si accompagnano a quelle più specifiche attinenti la viabilità presenti nella cartografia storica.
L’antico tracciato messo in luce dai lavori si sviluppa lungo l’attuale asse viario di via del Bigallo e Apparita, dove è presente in vari tratti, più o meno conservati, fino allo Spedale del Bigallo.
La viabilità attuale prosegue verso la località Quattro Strade, in direzione di Arezzo, tramite il valico di San Donato in Collina.
La strada, posta ad una quota inferiore ai campi limitrofi (indicativamente tra 1,5 e 3 m), risulta costruita con un profondo intervento di scavo sul piano roccioso, affiorante ai lati della stessa in più punti del tratto indagato. Tra il piano stradale e i muri confinari, che verso valle sono posati direttamente sul livello roccioso, sono visibili attualmente due canalette di scolo, con caratteristiche molto diverse tra loro, che attestano interventi di risistemazione sul lungo periodo.
L’assenza di reperti mobili o di altre testimonianze stratigrafiche lungo tutto il percorso oggetto d’indagine rende difficile l’inquadramento cronologico dei tratti stradali individuati.
È ragionevole pensare, per questa direttrice, ad un rapporto diretto con Lo Spedale del Bigallo, e questo dato sembra essere confermato dalle fonti. L’indagine cartografica ha costituito infatti un elemento di supporto significativo per l’inquadramento storico del rinvenimento, grazie anche alla conservazione dei fondi archivistici pertinenti a questo territorio.
MobiliTy: la transizione tra Paleolitico Medio e Superiore in Toscana nordoccidentale sotto la lente della tecnologia e delle materie prime.
Jacopo Gennai (Università di Pisa - Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere), Elisabetta Starnini
MobiliTy è un progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea che si propone di approfondire le conoscenze riguardo la Transizione tra Paleolitico Medio e Paleolitico Superiore in Toscana nord-occidentale. L’area in esame si caratterizza per la presenza di un alto numero di siti stratificati attribuiti agli ultimi Neandertaliani e uno dei due siti stratificati attribuiti all’inizio del Paleolitico Superiore (Aurignaziano). L’assetto geomorfologico del territorio offre due corridoi naturali di collegamento tra nord-ovest e sud-est: la valle del Serchio e la pianura costiera versiliese-pisana. Questi due percorsi sono divisi dal massiccio montuoso delle Alpi Apuane, uno dei principali distretti carsici toscani. Verranno effettuate analisi tecnologiche degli insiemi litici di Buca del Tasso, Buca della Iena, Grotta del Capriolo, Grotta all’Onda, Tecchia di Equi e Pontecosi Campo Sportivo. Particolare attenzione viene prestata alle dinamiche tecno-economiche risultanti dallo sfruttamento differenziale dei vari litotipi.
Le domus di Piazza Andrea del Sarto a Pisa
Stefano Genovesi (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, Università di Pisa), Fabio Fabiani, Alberto Caroti, Francesco Ghizzani, Germana Sorrentino
Nel 2022 il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa ha avviato, nell’ambito del Pisa Progetto Suburbio, una ricerca archeologica in Piazza Andrea del Sarto, in un’area periferica della città, a breve distanza da Piazza del Duomo ma all’esterno della cinta muraria comunale. L’interesse per quest’area, già nota da vecchi rinvenimenti, è stato rinnovato in seguito a recenti interventi di archeologia preventiva effettuati dalla Soprintendenza ABAP.
Le nuove ricerche hanno permesso di rilevare una frequentazione di lunga durata, compresa almeno dall’età ellenistica fino all’Altomedioevo. Lungo la sponda meridionale dell’antico corso del fiume Auser, tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C., edifici, anche di un certo impegno, mostrano una realtà complessa, ipoteticamente riconducibile ad un’area marginale, forse suburbana, della città.
Con la prima età imperiale, in una fase di intenso sviluppo edilizio, la città si espande fino all’area di Piazza Andrea del Sarto, con domus di alto tenore architettonico, dotate di piani pavimentali in cementizio a base fittile e decorate con intonaci dipinti.
Le indagini in corso forniscono, dunque, un quadro del tutto nuovo sulla forma della città romana: il quartiere residenziale della prima età imperiale si salda, infatti, a quello già noto nell’area di Piazza del Duomo, e concorre a restituire l’immagine di una città fortemente proiettata sulla sponda del fiume Auser.
Un progressivo processo di disgregazione di tale tessuto urbano, con lo sviluppo di spazi funerari e la rifunzionalizzazione delle domus, ha inizio nella tarda età imperiale, per culminare, nel corso del VII secolo, con una intensa fase di spoliazione. La forma urbis di questo settore della città imperiale risulta dunque in larga parte dissolta già in età altomedievale, per scomparire poi, anche nella memoria, nell’assetto della città comunale.
Il popolamento preistorico tra area fiorentina e Mugello: nuovi dati
Fabio Martini (Università di Firenze; Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria), Lapo Baglioni (Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria), Patrizio Balli (Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria), Chiara De Marco (Università di Siena), Manuela Fusi (SABAP provv. Siena, Grosseto e Arezzo), Isabella Matera (Università di Firenze), Gaia Mustone (Università di Siena), Pasquino Pallecchi (Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria), Matteo Penco (Università di Firenze), Lucia Pasquariello (Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria), Lucia Sarti (Università di Siena)
L’area fiorentina e il Mugello sono aree di indagine per le Università di Siena e Firenze che, grazie agli scavi e agli studi degli ultimi quattro decenni, hanno elaborato un quadro di sintesi dal Paleolitico all’età del Bronzo. Gli Autori presentano un focus su due segmenti crono-culturali che hanno visto recentemente acquisizioni significative, elaborate in un’ottica pluridisciplinare. Scavi stratigrafici e studi sui crinali appenninici nei distretti di Prato-Calenzano e di Firenzuola hanno messo in luce bivacchi più o meno strutturati che risalgono a passaggi in altura di gruppi del Neolitico antico connotati come facies identitaria. Queste evidenze della Toscana nord-occidentale ampliano le conoscenze pregresse relative ad analoghi passaggi appenninici in Garfagnana e ampliano le conoscenze in merito all’uso delle alture come luogo di transito che hanno facilitato scambi culturali tra la piana fiorentina, l’Italia centrale e l’area emiliano-romagnola. L’Appennino, inoltre, con i suoi insediamenti stagionali si conferma come ambiente frequentato nel Postglaciale anche come area di approvvigionamento di materie prime. Il secondo segmento illustrato riguarda l’età del Rame e le fasi antica e media dell’età del Bronzo, con le produzioni di alcuni siti di grande interesse. Oltre a portare ad una nuova scansione cronologica di dettaglio delle facies archeologiche, queste nuove acquisizioni ampliano il quadro storico-culturale pregresso in merito ai circuiti di comunicazione con l’ambiente emiliano-romagnolo e alle fisionomie industriali del comparto appenninico.
Le mura urbiche di Cortona. Nuovi studi per un patrimonio da riscoprire
Pietro Matracchi (Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze), Paolo Bruschetti, Ada Salvi
Dopo il fondamentale studio di Aldo Neppi Modona Cortona etrusca e romana nella storia e nell’arte, (1925), a distanza di circa un secolo, si rendeva necessario riprendere il tema della cinta muraria cortonese, affrontandolo con strumenti di indagine più avanzati e con un approccio che rivolgesse la dovuta attenzione anche alle vicende posteriori alla fase etrusca, fino a includere gli interventi tardo ottocenteschi di rinnovo della città.
Le nuove ricerche si svolgono nell’ambito di una convenzione (2022) tra Accademia Etrusca di Cortona e Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, responsabili scientifici rispettivamente Paolo Bruschetti e Pietro Matracchi, e con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo, responsabile scientifica Ada Salvi. Lo scopo finale della convenzione è quello di mettere a disposizione dell’amministrazione comunale di Cortona un solido quadro conoscitivo, da cui elaborare un progetto di valorizzazione e fruizione del circuito delle mura.
L’accordo tra DIDA e Accademia Etrusca prevede la realizzazione di un rilievo con tecniche avanzate laser scanner e fotogrammetria terrestre e da drone, con dati opportunamente processati. Il fine è quello di acquisire una documentazione delle mura, concernente materiali, tecniche costruttive, stato di conservazione, trasformazioni, gestita sulla base di un modello 3D globale georeferenziato.
Si tratta di un progetto di notevole impegno che prevede attività di ricerca per circa due anni. Il lavoro di rilievo e studio ad oggi svolto ha interessato l’ampio tratto di cinta muraria che lambisce la città, oltre alle porte urbiche.
Dai primi risultati è emerso con maggiore chiarezza il quadro generale dei resti etruschi in questa parte, con informazioni che gettano nuova luce sulle peculiari connessioni costruttive esistenti in molti tratti murari tra preesistenze etrusche e addizioni medievali.
Fonti scomparse e pozzi ritrovati alle Due Porte (via Stalloreggi, Siena)
Cristina Menghini (Università di Siena)
I lavori di sostituzione della rete del gas per conto di Centria srl realizzati in via Stalloreggi (Siena) con la direzione scientifica della Dott.ssa Gabriella Carpentiero–SABAP-SI, hanno permesso di portare alla luce un'interessante struttura interpretabile come pozzo, localizzato in zona Due Porte.
La struttura si presenta fortemente danneggiata dai lavori della rete telefonica e della fognatura; tuttavia è stato possibile coglierne la pianta e scavare parte dei riempimenti. Il pozzo presenta una fondazione stretta controterra entro un'escavazone circolare, è realizzato in mattoni e pietra calcarea e le pareti interne sono rivestite di malta idraulica. All'interno, in corrispondenza del lato ovest, è presente un piccolo canale di afflusso che dall'esterno confluiva l'acqua all'interno della struttura.
La presenza del pozzo individuato trova testimonianza anche nelle fonti scritte: nel 1352 viene richiesto al Consiglio Generale di riattivare un vecchio pozzo situato all'interno delle Due Porte.
Inoltre dalla nota di un pagamento effettuato alla Biccherna nel 1231 si legge di un tal Matteo remunerato “pro lignis et agutis el pretio suo pro actandis porta de Stalloregi et puczo Baldinelli et porta Beccarelli”. Il pozzo Baldinelli doveva trovarsi immediatamente all’interno della porta; potrebbe coincidere con l’analoga struttura rinvenuta nel 1352.
La cultura materiale rinvenuta nel riempimento del pozzo mostra una corrispondenza alla metà del XIV secolo, data la principale presenza di maiolica arcaica, sebbene alcune reperti posteriori mostrino attività di riempimento successivo.
Il ritrovamento di questa struttura risulta peculiare poiché il problema dell'approvvigionamento idrico per Siena è stato, sin dalle sue origini, una questione spinosa a causa della sua posizione geografica, lontana dai fiumi. Lo studio dei pozzi e dei sistemi di gestione delle acque è stato uno dei temi maggiormente affrontati per comprendere lo sviluppo del tessuto urbano medievale.
Pisa, ex-Salesiani. Dallo scavo alla musealizzazione
Antonino Meo (ricercatore indipendente), Claudia Rizzitelli (SABAP Pisa e Livorno)
Lo scavo preventivo dell’area del complesso Ex-Salesiani a Pisa, oggi ospitante la biblioteca di Antichistica, linguistica, germanistica, slavistica dell’Università di Pisa, è stato condotto dall’ex Dipartimento di Scienze archeologiche tra il 2011 e il 2012 (coordinamento sul campo di A. Meo). A qualche anno di distanza dal termine dei lavori, tra il 2019 e il 2020, si è deciso di realizzare in loco una esposizione permanente dedicata ai risultati delle indagini, con progetto e direzione tecnica di A. Bernardoni (UT Università di Pisa), direzione scientifica di C. Rizzitelli (SABAP-PI), consulenza, testi, immagini e selezione reperti di A. Meo, allestimento di ACME 04.
La narrazione è affidata a tre diverse sezioni. Il percorso inizia nella chiesa di S. Eufrasia, oggi adibita a locale di consultazione libraria: nel retro-facciata, due pannelli illustrano le principali trasformazioni topografiche dell’area. Nelle vetrine, ricavate all’interno dei quattro confessionali, vengono presentate alcune associazioni di materiali che, con l’ausilio di pannelli stampati sui tendaggi che velavano lo spazio destinato al sacerdote, illustrano i cambiamenti di cultura, gusto e stile, avvenuti nella mensa dei Pisani tra età medievale e contemporanea.
Nella stanza adiacente, in prossimità di alcune epigrafi funerarie murate, è stato posto un ulteriore pannello di approfondimento sull’utilizzo cimitero sorto nei pressi della chiesa tra l’età medievale e moderna.
Nella vicina aula-studio, infine, ai reperti contenuti all’interno di quattro box è affidato il compito di approfondire alcuni aspetti puntuali, grazie all’ausilio di didascalie, ricostruzioni e fonti iconografiche: le tracce di frequentazione di età romana; le attività metallurgiche e tessili bassomedievali; le monete e i piccoli oggetti d’uso personale, caduti o persi sulla strada che costeggiava la chiesa.
Il contributo dell’industria litica per la comprensione dei paesaggi preistorici nel Parco Regionale della Maremma: nuovi dati dalle ricognizioni archeologiche
Gaia Mustone (DSSBC - Università di Siena), Giovanna Pizziolo, Matteo Faraoni
Il poster presenta un aggiornamento sulle attività di ricognizione archeologica svolte negli ultimi anni dall’Unità di Preistoria del Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali nel territorio del Parco Regionale della Maremma. Le indagini rientrano nel più ampio progetto di ricerca “Paesaggi preistorici nel Parco Regionale della Maremma: field survey e GIS analysis delle evidenze di epoca preistorica” (PRM 2020-2025).
In questa sede si presentano alcune considerazioni emerse dall’analisi dei manufatti preistorici raccolti sul campo utili alla comprensione delle strategie insediative, del rapporto Uomo-Ambiente e delle trasformazioni del paesaggio a scala locale.
In particolare, il contributo si focalizza sullo studio dei manufatti litici pertinenti ad alcune morfologie relitte al fine di rintracciare indicatori utili all’interpretazione delle dinamiche insediative e delle attività che si svolgevano durante la preistoria lungo le sponde degli antichi corpi d’acqua.
I risultati dello studio sono particolarmente stimolanti perché testimoniano una lunga frequentazione di queste aree non solo nelle fasi recenti della preistoria ma anche in momenti più antichi, con elementi che rimanderebbero al Paleolitico medio. Oltre a ciò si evidenzia una rete di contatti sia a scala locale cha a più ampio raggio, indizio di un certo grado di dinamicità di queste comunità neolitiche e dell’età dei metalli.
Le attività della ricognizione confermano una presenza diffusa e continuativa nelle zone liminali della Bonifica di Talamone, testimoniata soprattutto dal rinvenimento di reperti litici. Lo studio di tali manufatti diviene quindi fondamentale per la comprensione di questa frequentazione, evidenziando ulteriori spunti interpretativi sulle attività umane e al contempo fornendo indicatori utili ad un inquadramento cronologico anche delle suddette morfologie relitte, che divengono veri e propri marker di questo paesaggio archeologico in trasformazione.
Nuove ricerche, vecchie collezioni: gli ornamenti in steatite pre-protostorici della Toscana
Cristiana Petrinelli Pannocchia (Università di Pisa), Alice Vassanelli, Antonio Borzatti de Loewenstern, Barbara Raimondi
Numerosi manufatti in steatite, principalmente ornamenti, sono stati rinvenuti nel territorio livornese (Toscana) principalmente a seguito di ricognizioni di superficie (Sammartino, 2005). Questi, oggi conservati presso il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno, testimoniano una frequentazione umana del territorio riferibile al periodo Paleolitico superiore-Età del Bronzo.
In questo lavoro viene presentata la sintesi dei risultati sinora ottenuti da uno studio multidisciplinare, che ha integrato analisi archeometriche, tecno-tipologiche, traceologiche, unitamente allo sviluppo di protocolli sperimentali (Vassanelli, 2018; Vassanelli & Petrinelli Pannocchia, 2021; Petrinelli Pannocchia & Vassanelli, 2021). Lo studio ha portato ad una comprensione più accurata di queste produzioni, suggerendo, in alcuni casi, l'attribuzione crono-culturale dei manufatti.
La ricerca, effettuata con la collaborazione del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno, è parte del progetto “SPOT- Study of the Italian Prehistoric Ornaments”, del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa.
Sammartino, F. 2005. Gli ornamenti preistorici in steatite del territorio livornese. Memorie del territorio, Livorno.
Vassanelli, A. 2018. Tra simbolo e funzione-I manufatti in steatite di età pre-protostorica del territorio livornese, Tesi di Laurea magistrale (aa.2017-2018), Università di Pisa.
Petrinelli Pannocchia, C., Vassanelli, A. 2021. The First Italian Farmers: the role of stone ornaments in tradition, innovation, and cultural change. 1st Conference on the Early Neolithic of Europe - ENE 2019. Open Archaeology, 7: 1398–1424. https://doi.org/10.1515/opar-2020-0175
Vassanelli, A., Petrinelli Pannocchia, C. 2021. I vaghi in steatite di età pre-protostorica del territorio livornese (Toscana). AGOGHE', Atti della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici, Volumi XIV-XVIII, 2017-2021, Pisa University Press, 2021 pp. 59-72.
“IN TRANSUMANZA: TRA ARCHEOLOGIA, ANTROPOLOGIA E STORIA”. Origine e sviluppo della transumanza in Toscana: una mostra interdisciplinare all’interno del programma interreg. CAMBIO VIA
Giovanna Pizziolo (DSSBC-UNISI), Fabio Mugnaini (DSSBC-UNISI), Nicoletta Volante (DSSBC-UNISI), Andrea Zagli (DSSBC-UNISI), Chiara Valdambrini (MAAM), Valter Nunziatini, Daniele Visconti, Cristina Attilio, Linda Venturi (RT)
Il poster presenta l’esperienza relativa agli studi interdisciplinari sulle origini e sviluppo della transumanza in Toscana meridionale che sono confluiti nell’allestimento di una mostra scaturita all’interno del progetto CAMBIO- VIA Interreg Marittimo Italia-Francia .
A fronte di ricerche avviate in altri contesti italiani in tempi recenti, lo studio archeologico della transumanza in ambito toscano ha, fino ad oggi, riscosso solo sporadiche attenzioni nonostante l’importanza che il fenomeno della pastorizia mobile e della transumanza ha avuto nell’economia di questa regione nelle varie epoche. La sinergia tra archeologi, storici e antropologi del Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena ha permesso lo sviluppo di un progetto finalizzato a sistematizzare le informazioni note e a far progredire la ricerca con indagini sul campo finalizzate a tale scopo. In particolare lo studio sulla transumanza, attraverso un approccio multidisciplinare e diacronico, consente di esplorare il fenomeno evidenziandone la continuità e i cambiamenti avvenuti nel tempo, dall’età contemporanea procedendo a ritroso fino alle sue origini.
L’esposizione temporanea “In transumanza: comunità, vie e culture della pastorizia, tra archeologia, antropologia e storia” illustra questo approccio metodologico attraverso testi, immagini e prodotti multimediali articolati in 10 totem tematici.
La mostra è nata dalla sinergia tra Regione Toscana, il Dipartimento di Scienze storiche e dei Beni Culturali - DSSBC - dell’Università di Siena con il coordinamento del Laboratorio di Preistoria e il Museo Archeologico e d'Arte della Maremma (MAAM) e racconta gli itinerari che uomini e greggi hanno calcato, per millenni, spostandosi fra le terre di Maremma e l’Appennino: la Via del Casentino, la Via dei Biozzi e la Via Aldobrandesca.
Cosa e i suoi materiali: produzioni locali e contatti mediterranei
Martina Rodinò (Università degli Studi di Firenze), Alessia Contino (Segretariato Regionale MiC per il Lazio), Lucilla D’Alessandro (Istituto Villa Adriana e Villa d’Este, MiC)
A partire dalla tarda età repubblicana, Cosa fece parte della capillare rete portuale di Roma, necessaria all’espansione politica e commerciale dell’impero verso le coste liguri, galliche e iberiche. La posizione della colonia, in prossimità della costa tirrenica e sul promontorio di Ansedonia, consentiva all’agro cosano di inserirsi all’interno delle vie marittime dell’Etruria centro-meridionale. Il vino, l’olio e le salse di pesce prodotti nel territorio erano esportati attraverso i due porti principali, il Portus Cosanus e il Portus Feniliae, grazie ai quali la colonia riceveva, inoltre, le merci dalle altre aree italiche e dalle province dell’impero. La crescente richiesta dei prodotti dell’ager rese necessaria la nascita di diversi ateliers destinati alla produzione di contenitori funzionali a una efficiente commercializzazione. Le ville agricole dell’entroterra divennero infatti importanti centri per la produzione del vino cosano che, in particolare, fu assai apprezzato nella Gallia meridionale, come testimonia la presenza di anfore di Albinia e della famiglia dei Sestii in questa provincia dell’impero, nonché nei diversi relitti e contesti subacquei individuati lungo la costa tirrenica e la costa francese.
L’analisi delle anfore e del vasellame da mensa, ritrovati durante le indagini fiorentine condotte presso l’Edificio P e presso l’incrocio tra le Strade 5 e P di Cosa, documenta produzioni e officine sinora mai attestate all’interno dell’abitato e fornisce nuovi dati preziosi nel delineare le principali rotte mediterranee che coinvolgevano il sito. Il panorama che ne emerge testimonia una fiorente vitalità commerciale e consente di inserire la colonia all’interno di importanti tragitti marittimi che interessavano le maggiori città italiche, la penisola iberica, la Gallia meridionale, l’Egeo orientale e l’Africa settentrionale.
Tumuli etruschi a Volterra: ricerche nella necropoli delle Colombaie
Lisa Rosselli (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, Università di Pisa), Carmine De Mizio, Maria Vittoria Riccomini
L’indagine archeologica avviata nel 2016 dall’équipe di Etruscologia del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa in località Le Colombaie a Volterra, al fine di definire le caratteristiche di una piccola tomba a camera situata al centro di un piano terrazzato, nota da tempo ma non adeguatamente documentata, ha visto crescere progressivamente la sua rilevanza man mano che l'ampliamento dell’area esplorata ha svelato l’esistenza di un’estesa area di necropoli. Il complesso è costituito, allo stato attuale, da tre strutture a tumulo delimitate da crepidine circolare databili tra lo scorcio del VII e la prima metà del VI secolo a.C., allineate al centro del terrazzo in direzione nord-ovest/sud-est, due delle quali con piccola camera con copertura a pseudo-cupola. Alla novità offerta dalla tipologia tombale, attestata nel territorio limitrofo ma finora non documentata a Volterra, si è aggiunto il fatto che uno dei monumenti indagati si è conservato intatto nella struttura e nel contenuto, che consiste in cinque sepolture, a cremazione e a inumazione, e materiali di corredo ceramici e metallici che contribuiscono a definire i caratteri della facies tardo-orientalizzante del centro etrusco. Inoltre, nelle adiacenze dei tumuli è stato individuato un livello antropico con resti di un ambiente quadrangolare, di cui si conservano due lati perpendicolari con zoccolo in pietra e l’alloggiamento per un montante ligneo pertinente all’alzato. Numerosi frammenti ceramici relativi a contenitori di impasto di tipo domestico associati a questa struttura, databili tra l'avanzato VIII e la metà del VII secolo a.C., attestano una interessante fase di frequentazione del sito precedente all’impianto della necropoli monumentale. L’area fu utilizzata a scopo funerario ancora in epoca post-etrusca, come attesta il rinvenimento di un nucleo di tombe ad inumazione entro fossa terragna di epoca tardo-romana, concentrato nell'area sud-ovest dell’area di scavo.
Un approccio multi-disciplinare allo studio della mobilità italiana nel Medioevo (secoli XI-XIV). Il caso del cimitero della canonica di San Sisto a Pisa
Agnese Sagliuoccolo (Università di Pisa), Federico Cantini, Antonio Fornaciari, Valentina Giuffra
La mobilità umana è una tematica che affascina e rappresenta al tempo stesso una grossa sfida per gli archeologi.
Il fenomeno è ben presente durante il Medioevo, tanto che Le Goff definisce l’uomo medioevale “un pellegrino perpetuo in un Medioevo viaggiante”.
Durante il Basso Medioevo anche se pellegrini, soldati, mercanti sono ancora i classici e comuni viaggiatori utentes stratis , accanto a loro compaiono individui che si mettono in viaggio richiamati dagli stimoli occupazionali emergenti da città in piena rinascita.
Tra queste città Pisa ha senz’altro un ruolo di primo piano, sia per la vivace precoce crescita economica che già dall’XI secolo la caratterizza, sia per l’espansione mediterranea dei suoi traffici.
La mobilità umana può trovare un riscontro archeologico così come è testimoniato dallo studio della cultura materiale pisana tra XI e XIV secolo?
La chiesa di San Sisto, con annesso cimitero, rappresenta un ottimo caso studio per cercare di rispondere a questa domanda. La struttura viene fondata nel 1087 dai “Pisani Gloriosi” con i proventi della vittoria sui saraceni di Al Mahdiya, presso Tunisi.
Il cimitero adiacente alla Canonica di San Sisto, attestata dal XII secolo, conta al momento circa 150 sepolture, di cui una con un corredo particolare: si tratta della cosiddetta “pellegrina”, un individuo femminile di circa 35-45m anni, rinvenuto con un esemplare di pecten jacobaeus sul torace.
Da alcuni anni si sono fatti strada, anche in Italia, in relazione ad età preistorica e classica, studi che uniscono al dato archeologico quello archeometrico tramite l’analisi degli isotopi utili alla ricostruzione della mobilità umana (87Sr e18O), ma per il Basso Medioevo mancano al momento ricerche che sfruttino un tale approccio. Il caso studio di San Sisto vuole essere un primo banco di prova per un approccio integrato allo studio della mobilità basso medievale italiana.
Nuovi dati dalla residenza etrusca di Piano Tondo a Castelnuovo Berardenga (SI)
Ada Salvi (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo), Federico Salzotti (Archeòtipo srl)
Il sito di Piano Tondo nel Comune di Castelnuovo Berardenga (SI) è noto per la presenza di una residenza aristocratica etrusca, testimoniata da una ricca decorazione architettonica fittile, sorta a cavallo tra la fine del VII e la metà del VI sec. a.C. in un punto a controllo di una vasta porzione di territorio e di importanti percorsi viari di collegamento con il Chianti, il Valdarno e la costa tirrenica.
Nell'ambito di un'indagine di archeologia preventiva legata all'impianto di una vigna situata sulle pendici del colle, nei primi mesi del 2022 è stata indagata una piccola area produttiva con due differenti strutture.
La prima è una fornace per laterizi le cui evidenze, piuttosto labili, sono riconducibili ad alcuni allineamenti di pietre, ampie macchie di terreno fortemente arrossato o di colore nerastro e una grande densità di materiale laterizio, in prevalenza embrici e coppi, sparso su tutta l'area. È stata così ipotizzata una fornace di forma quadrangolare con muri interni funzionali a sorreggere il piano divisorio fra la camera di combustione e quella di cottura. I reperti recuperati sono cronologicamente compatibili con la fase della reggia, pur attestando anche una probabile frequentazione più tarda, di epoca ellenistica.
Circa 10-15 metri in direzione sud-est è stata rinvenuta una seconda fornace, in questo caso per la cottura della ceramica. La struttura presenta forma circolare/ellittica e il prefurnio collocato verso ovest, ben delimitato da pietre e pezzi di embrice disposti verticalmente. Il rinvenimento ha evidenziato, alla quota più alta, il collasso delle pareti e, in successione stratigrafica, un sottile strato carbonioso riconducibile all'ultima cottura.
Belfiore: dalla torre al castello. Primi dati dalle indagini di archeologia preventiva
Ada Salvi (Soprintendenza archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Siena, Grosseto e Arezzo), Riccardo Bargiacchi, Dimitri Pizzuto, Chiara Marcotulli (Laboratori Archeologici Sangallo)
Gli importanti risultati ottenuti dalle indagini di archeologia preventiva svolte nel 2021 e 2022 in occasione del restauro della imponente torre quadrangolare nel sito noto come “Torri di Belfiore”, nel comune di Capolona (AR), hanno indotto il Comune in accordo con la Soprintendenza ABAP per le province di Siena, Arezzo e Grosseto ad effettuare uno scavo in estensione che ha permesso di ricostruire l’articolata planimetria di un castello, delle cui strutture si era persa traccia.
Situato sulla sommità di una collina in posizione dominante a cavallo tra il basso Casentino, il massiccio del Pratomagno e la zona settentrionale della conca aretina, il sito conservava oltre alla torre, ormai ridotta allo stato di rudere, solo un paramento murario e una torretta angolare a nord-est dell’area.
Il castello di Belfiore è esplicitamente attestato nel 1385, quando gli ispettori inviati dalla Repubblica fiorentina dopo l’acquisizione lo descrivono come «un castello con una torre», ma sembra che si riferisca ad esso anche un diploma di Federico I del 25 giugno 1161.
Lo scavo, effettuato in via preliminare con la finalità di individuare l'estensione delle strutture e il loro stato di conservazione per poter proseguire con la progettazione di un futuro intervento di scavo e restauro, ha permesso di individuare un complesso sistema di strutture articolate intorno alla torre che prevedeva una parte maggiormente fortificata, intorno alla quale si sviluppava la cinta muraria esterna con torrette angolari. All'interno erano diversi ambienti organizzati, i cui accessi sono testimoniati da elementi architettonici di pregio. Le foto d'epoca risalenti ai primi decenni del XX secolo testimoniano la relativa modernità degli spessi crolli che coprivano le strutture e giustificano il toponimo che, nonostante l'evidenza di una sola torre, ne fa riferimento al plurale.
Interventi di documentazione e restauro nella tomba dipinta del Colle Casuccini a Chiusi (SI)
Ada Salvi (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo), Jacopo Tabolli (Università per Stranieri di Siena), Andrea Violetti, Lorenzo Cecchini, Ludovico Giannini, Francesco Cini, Marco Fiorucci (Ichnos: archeologia Ambiente e Sperimentazione, soc. coop.)
La tomba del Colle Casuccini è una delle tombe etrusche dipinte di età arcaica più note del territorio di Chiusi per lo splendido ciclo pittorico con scene di banchetto e giochi funebri.
Fra la fine del 2021 e l'inizio del 2022 la Soprintendenza ABAP-SI ha finanziato e diretto un intervento di somma urgenza per la messa in sicurezza delle camere sepolcrali ipogee minacciate da cospicue infiltrazioni di apparati radicali che ne avevano in parte già danneggiato le pareti e il soffitto.
Nelle fasi preliminari si è effettuata una campagna di rilievi con drone, laser-scanner e georadar per individuare la conformazione del bancone roccioso su cui la tomba insiste e documentarne lo spessore sopra alle camere. Si è poi provveduto ad un’analisi delle radici infestanti per la determinazione delle specie arboree di appartenenza, che hanno identificato come principale responsabile delle infiltrazioni il pino domestico (Pīnŭs pīnea) che sovrasta la tomba sin dal XIX secolo. Si è dunque deciso di procedere ad uno scotico della collina nella zona interessata dalle camere, fino a raggiungere la roccia di base, eliminando così tutti gli apparati radicali presenti. L’arenaria vergine è stata quindi ripulita con cura e coperta da una speciale guaina traspirante e antiradice per cercare di limitare il più possibile nuove infiltrazioni, prima di ricoprire nuovamente la collina di terra e riportarla alla sua conformazione precedente. Terminate le operazioni esterne è stato effettuato il consolidamento, la fermatura e il riposizionamento dei frammenti dell'apparato decorativo danneggiato e la ricostruzione della porzione di affresco staccata alcuni decenni or sono per motivi di tutela.
Lo scavo del palatium della Rocca di Civitella in Val di Chiana (AR): dati preliminari e primi risultati
Ada Salvi (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo), Alessio Mini
La formidabile posizione strategica su cui sorge la rocca di Civitella in Val di Chiana domina una vastissima area, comprendendo tutta la Valdichiana fino alla conca aretina a nord e il lago Trasimeno, Chiusi e il Monte Cetona a sud, a controllo del valico che collegava sin dall'antichità la valle del Clanis con quella dell'Ambra verso il massiccio del Chianti. Strutture recentemente individuate ne attestano la frequentazione e la probabile funzione difensiva sin dal periodo etrusco, ma è al XII secolo che risale la rocca fortificata con il palazzo eretto dal vescovo aretino Guglielmino degli Ubertini, oggetto di alterne vicende fino al suo definitivo passaggio alla Repubblica Fiorentina nel 1384.
Lo scavo archeologico, svolto grazie alla collaborazione tra amministrazione locale e Soprintendenza nell'ambito dei lavori di consolidamento e verifica strutturale all’interno del palazzo, parzialmente distrutto nel 1944 durante la Seconda Guerra Mondiale, ha evidenziato un contesto stratigrafico complesso frutto di una continuità frequentativa dell’area almeno a partire dal periodo ellenistico. Le ricerche hanno dimostrato, inoltre, varie fasi insediative anche durante il processo dell’incastellamento del sito: sono infatti stati individuati e documentati i resti di una possente struttura triangolare obliterata dalla fondazione del palazzo e interpretabile come una torre difensiva, forse corrispondente ad un precedente sistema di fortificazione.
Tra il colle di San Donato e il Colle di San Pietro. Conferme e novità per l'archeologia di Arezzo
Ada Salvi (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo), Hermann Salvadori
L'area compresa tra le due colline alle pendici delle quali si estende la città di Arezzo, attualmente occupate dal Duomo e dalla Fortezza medicea, è spesso indicata in letteratura come il luogo dove si sviluppò il primo abitato di età etrusca, successivamente occupato dalla città romana e dalle successive stratificazioni fino all'età moderna. I pochissimi dati archeologici verificabili sono ora integrati dal rinvenimento, effettuato in occasione di un intervento di archeologia preventiva, di due emergenze che in parte confermano e in parte gettano nuova luce sulla storia del luogo.
Si è infatti potuto rintracciare la grande cisterna rivestita in cocciopesto, già individuata nel 1872 e in seguito nel 1942, documentata all'epoca come grande struttura monumentale con volte sorrette da pilastri e interpretata come castellum aquae dell'Arretium romana, più volte ricercata con metodologie dell'archeologia leggera rimaste infruttuose. L'intervento ha consentito di documentarne il posizionamento esatto, alcuni dettagli strutturali e la profondità dal piano di campagna.
Nella tratto esterno nord-orientale delle mura cittadine, tra il Bastione della Diacciaia e Porta Stufi, la lettura stratigrafica degli elevati e la consultazione dei documenti d'archivio hanno permesso di interpretare una evidente cesura nella muratura (precedentemente ritenuta la Porta Sant'Alberto documentata nelle fonti) come torre rompitratta a gola aperta. Lo scavo ha confermato questa interpretazione consentendo di mettere in luce il basamento della torre, che per la forma subcircolare, gli elementi strutturali di riuso e i rapporti stratigrafici sembra in relazione con una fase anteriore alla cinta tarlatesca del XIV secolo. Le future indagini già programmate potranno chiarire la cronologia della struttura e contribuire ad ampliare le conoscenze sulle mura cittadine, che in questa tratta sembrano ricalcare lo stesso percorso a partire dal V-VI sec. fino al XIV sec. d.C.
Il quadro conoscitivo archeologico nel nuovo Piano Strutturale del Comune di Firenze
Monica Salvini (SABAP FI-PO-PT), Stefania Fanfani, Paolo Liverani
Nel Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale (2023) del Comune di Firenze è stato acquisito un “Livello conoscitivo delle risorse archeologiche nel territorio del comune di Firenze”, schedando ben 300 evidenze che hanno permesso di definire le linee guida per la tutela del territorio comunale.
Il livello conoscitivo, parte integrante dell’appena pubblicato Piano Strutturale comunale, è stato elaborato d’intesa tra il Comune di Firenze (Direzione Urbanistica), la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato (SABAP) e l’Università degli Studi di Firenze - Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS), con il supporto dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR (ISPC).
Concordate le linee guida per lo svolgimento del lavoro e individuato QGIS come strumento open source per la condivisione di dati geospaziali si è proceduto all’acquisizione dei dati archeologici editi, alla perimetrazione delle aree ove insistono i ritrovamenti e alla definizione cartografica delle evidenze censite.
La revisione del geodatabase realizzato da SAGAS/CNR e la verifica del posizionamento delle testimonianze è stata eseguita dalla SABAP, titolare della Direzione Scientifica del lavoro, a settembre 2022. In tale occasione si è provveduto anche alla registrazione e all’aggiornamento cartografico con i nuovi dati editi.
A seguito dall’esperienza maturata, è stata sottolineata la necessità di aggiornare il database e il GIS con frequenza almeno biennale, anche al fine di monitorare la sostenibilità delle Norme Tecniche di Attuazione a corredo del Livello.
Vada Volaterrana. Il sistema portuale e la sua comunità
Paolo Sangriso, Silvia Marini (Collaboratori Laboratorio di Topografia Antica a Archeologia Subacquea, Università di Pisa)
Lo sbocco a mare della città di Volterra era costituito dal sistema portuale dei Vada Volaterrana; la presenza delle secche e di numerosi specchi d’acqua, ha permesso la creazione di una serie di approdi che sgranandosi dalla foce del Fine alla foce del Cecina vanno a costituire quello che è possibile definire un paesaggio portuale, un porto diffuso.
Uno dei cardini di questo sistema è costituito dal quartiere retroportuale (fondato in età augustea/tiberiana) che si localizza a San Gaetano di Vada. Le diverse campagne di scavo hanno parzialmente messo in luce una serie di edifici (in uso fino al VII sec. d.C.) che caratterizzano l’area come uno dei punti di stoccaggio e gestione del sistema portuale volterrano.
Centro di gravità del quartiere è la piazza sulla quale si affacciano gli Horrea (magazzini), la Schola (probabile sede del collegio dei Dendrophori che gestiva il magazzino) e una fontana; completano l’organizzazione urbanistica del sito un edificio termale pubblico (le Grandi Terme), un edificio a probabile destinazione sacrale (edificio G) e due grandi complessi multifunzionali (edifici H-M).
Al porto diffuso corrisponde un paesaggio insediativo diffuso anch’esso, caratterizzato da insediamenti sparsi e limitati nuclei abitativi, indiziati, nella zona della attuale Vada, dalla presenza di piccole necropoli o di tombe isolate, soprattutto a partire dal III secolo d.C.
Le persone che lavoravano negli impianti portuali lungo la costa risiedevano verosimilmente all’interno di un tessuto abitativo costituito da numerosi insediamenti (‘fattorie’) e punteggiato da alcune ville e centri manifatturieri. Tale modalità insediativa, ricostruita attraverso le ricognizioni, permetteva l’integrazione delle attività legate al sistema portuale con quelle agricole e artigianali.
Archeologia preistorica in area fiorentina: un esempio di archeologia preventiva ante litteram. Complessità e potenzialità della gestione dei dati acquisiti per la ricostruzione storica di un territorio
Lucia Sarti (Università di Siena), Fabio Martini (Università di Firenze)
Le indagini di archeologia preventiva nel comparto fiorentino sono iniziate nel 1982 e protratte fino al 2007, con il coordinamento dell'Università di Siena, sotto l’egida della Soprintendenza archeologica, l’Università di Firenze e il Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria. L’area interessata rientra nei confini amministrativi di Sesto Fiorentino. I numerosi dati raccolti, periodicamente editi per singoli complessi o in sintesi crono- culturali, richiedono ancora l’impegno di un gruppo di lavoro che vede coinvolti specialisti di diversi Atenei, giovani archeologi e laureandi. Obiettivo del “progetto Sesto” è la ricostruzione storica e dei regimi economici del popolamento a partire dal Mesolitico fino all'età del Bronzo e alla prima età del Ferro, nel contesto ambientale e nell’ambito delle relazioni culturali con le aree limitrofe e con il coevo contesto europeo. Gli AA. illustrano la strategia di gestione dei dati acquisiti (archiviazione e conservazione dei documenti, elaborazione digitale, creazione di metadati) anche in relazione alle edizioni scientifiche specialistico e divulgative, integrate con esposizioni e seminari in contesti locali. Le azioni sono declinate tenendo presenti le esigenze dei diversi pubblici e i temi dell’inclusione (Design for All, buone pratiche di Vietato NON Toccare…). Viene fatto riferimento anche al quadro storico pregresso, ampliando sintesi storiche già edite relative soprattutto al Mesolitico e all’età dei Metalli. L’aggiornamento consente di sottolineare e documentare in modo approfondito l’originalità del territorio fiorentino nell’ambito delle interrelazioni con regioni dell'Italia centro-settentrionale.
Le ricerche archeologiche sul geosito di La Pietra (Roccastrada-Grosseto)
Sem Scaramucci, Adriana Moroni, Ivan Martini (Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, Università di Siena)
Il sito archeologico preistorico di La Pietra si sviluppa intorno a un imponente affioramento roccioso di radiolariti nella valle del torrente Farma, all'interno di una Riserva Naturale Regionale. Il luogo fa parte dei Geositi compresi nel Parco Nazionale delle Colline Metallifere.
La Pietra, per la diffusa presenza di radiolarite bene adatta alla scheggiatura (buon grado di omogeneità e vetrosità), fu teatro di una ripetuta attività di raccolta e di lavorazione sul posto della roccia a partire, per lo meno, dal Paleolitico medio.
In superficie sono presenti abbondantissime industrie litiche riferibili a officine perlopiù oloceniche; queste si irradiano dalla parete sud dell’affioramento fino alle sponde del torrente Farma.
Dopo la scoperta e lo studio preliminare dei reperti di superficie, il sito di La Pietra è stato oggetto, a partire dal 2013, di quattro campagne di scavo, rese possibili grazie alla sinergia tra l’Università degli Studi di Siena (Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente – UR Preistoria e Antropologia), la SABAP per le province di Siena, Grosseto e Arezzo e il Parco Nazionale delle Colline Metallifere.
Dalle indagini e dallo studio dei reperti sono emersi dati significativi sulle catene operative per la produzione di preforme per foliati durante l’età del Rame. In quell’epoca, La Pietra si configurò come una cava-officina e l’attività di approvvigionamento della materia prima portò a modificare l’aspetto stesso della parete rocciosa lasciando tracce di cavatura, fino ad altezze di alcuni metri, le quali vengono qui per la prima volta mostrate attraverso riprese fotografiche da drone.
Questo poster è inoltre l’occasione per diffondere alcune considerazioni preliminari sulla stratificazione paleolitica individuata in un pianoro che si trova tra l’affioramento di La Pietra e il Farma e per la quale è in fieri lo studio sedimentologico.
Strategie di lavoro in una miniera di cinabro Tardo Neolitica. Dati preliminari sull’analisi tecno-funzionale e petrografica dei macrolithic tools di Poggio Spaccasasso (Alberese, GR)
Andrea Terziani (Università di Pisa), Cecilia Viti, Nicoletta Volante
Spaccasasso è l’unica miniera di cinabro preistorica attualmente nota nel panorama archeologico europeo. Il sito si trova all’interno del Parco Regionale della Maremma e si configura come lo sfruttamento di un filone cinabrifero periferico rispetto a quelli più consistenti del Monte Amiata, coltivati sino agli anni '80 del secolo scorso.
Con il presente contributo si illustrano i risultati preliminari provenienti dall’analisi tecno-funzionale e petrografica condotta su alcuni utensili da estrazione in pietra, utilizzati più di 5000 anni fa in questo contesto per il recupero del prezioso pigmento. Il lavoro si colloca nell’ambito di un progetto di dottorato regionale vincitore della borsa sul tema “Archeologia in Toscana: paesaggio, insediamenti e patrimonio tra la Preistoria e il Medioevo”.
Osservazioni a livello macroscopico associate all’impiego dello stereomicroscopio hanno permesso di evidenziare tracce tecnologiche, vale a dire relative alla messa in forma di questi strumenti, e altre tracce collegate al loro utilizzo all’interno del processo estrattivo. Al momento, lo studio ha rivelato uno scarso investimento nel loro confezionamento ed un utilizzo a carattere espeditivo.
L’analisi al microscopio ottico a luce polarizzata su sezioni sottili degli utensili ha invece consentito di identificare uno dei litotipi impiegati maggiormente nella costruzione di questi strumenti percussori, ovvero un microgabbro, una roccia ignea alloctona forse recuperata sotto forma di ciottolo lungo il corso del vicino fiume Ombrone.
Infine, osservazioni allo stereomicroscopio di altri campioni di materia prima, associate ad una collezione di confronto, hanno dimostrato l’utilizzo di un litotipo diverso. Si tratta per l’appunto di un’anagenite, una roccia sedimentaria ricca in quarzo, sfruttata per la produzione di altri tipi di strumenti dal peso e dalle dimensioni maggiori, molto probabilmente collegati ad una prima fase dell’attività mineraria.
Il Lago degli Idoli. Dalla scoperta alla musealizzazione nel ventennale degli scavi
Francesco Trenti (Museo Archeologico del Casentino 'Piero Albertoni')
A venti anni dall'inizio delle indagini moderne, con il presente contributo
si intende da un lato ripercorrere brevemente l'affascinante storia del sito e dall'altra presentare la musealizzazione dei reperti presso il Museo Archeologico del Casentino, che a sua volta compie 10 anni. Sarà inoltre l'occasione per trattare le varie attività di valorizzazione del sito e dei reperti esposti portate avanti negli ultimi anni dal Museo, come la nuovissima sala immersiva allestita alla fine del percorso espositivo e dedicata proprio all'importante santuario etrusco sul Falterona.
MARMO: i più antichi manufatti in marmo della Toscana
Alice Vassanelli (Università di Pisa)
Con il progetto MARMO (finanziato dalla Regione Toscana-POR FSE) è stato possibile accertare che durante la seconda metà del III mill. a.C. nella Toscana nord-occidentale è presente una considerevole produzione di ornamenti in marmo e calcare, rinvenuti quasi esclusivamente in contesti sepolcrali (Cocchi-Genick & Grifoni, 1989). Si tratta di manufatti che attestano un uso antico di questa risorsa il cui primo sfruttamento (Gr. all’Onda-LU, Berton et al., 2002; Caverna dei Pipistrelli-SV, Borghi et al., cds), risale al Neolitico.
Viene presentata una sintesi dei risultati ottenuti dall’applicazione di uno specifico protocollo di studio, che ha coinvolto analisi tecno-tipologiche, funzionali e archeometriche, messo a punto con il CNR-ICCOM di Pisa. L’approccio, integrato da attività sperimentali, ha permesso di ricostruire le tecniche e i gesti utilizzati nella lavorazione di questa materia prima, evidenziando l’impiego di sequenze operative differenti, frutto di un alto livello di specializzazione (Vassanelli et al., in cds).
Berton, A., Bonato, M., Campetti, S., Carnieri, E., & Perrini, L. 2002. La Malacofauna e gli Ornamenti del Neolitico-Eneolitico di Grotta all’Onda. Rassegna di Archeologia, 19/A, 125-152
Borghi, A., Starnini, E., Cossio, R., Gambino, F., Ribero, M., Cabella, R., & Cinquetti, M. in cds. L’anello-bracciale della Caverna dei Pipistrelli (Finale Ligure, SV): analisi archeometriche per lo studio della provenienza della materia prima e implicazioni culturali, Rivista di Scienze Preistoriche, LXXIII S3 -2023
Cocchi Genick, D. & Grifoni Cremonesi, R. 1989. L’età del rame in Toscana. Massarosa Offset, Viareggio
Vassanelli A., Petrinelli Pannocchia C., Starnini E. in cds. The chaîne opératoire approach for interpreting personal ornament production: marble beads in Copper Age Tuscany (Italy). Special Issue: Reconsidering the Chaîne Opératoire: Towards a Multifaceted Approach to the Archaeology of Techniques; Open Archaeology